Agnese Azzarelli
I
Al Brown Derby in Sunset Boulevard a Los Angeles uno studente di Milano, innamoratosi del dettato di Susan Sontag, immagina di ambientarvi una campagna di una start up di fashion designer. Lucia – esordendo con una fragorosa risata – cede al sogno, se ne raggomitola anche lei: «E perché non colorarlo di lampade Tiffany?»
Altri tre studenti di comunicazione, nel chiostro di Filosofia, hanno avviato un dibattito sul concetto di straniamento. A dispetto d’ogni previsione, sono rimasti incantati a lezione di Storia del teatro e dello spettacolo e ne snocciolano nozioni. Per comprendere Brecht si rifanno al dettato formalista. Uno tra i tre sventola e apre La struttura della novella e del romanzo: «Bisogna estrarre l’oggetto dalla serie di associazioni consuete, nella quale si trova. Bisogna rivoltare l’oggetto, come si volta un ceppo nel fuoco». Gli fa eco il compagno: «l’artista è sempre l’istigatore della rivolta degli oggetti». Come conciliare tutto ciò nella pratica?
C’è chi si è servito di Lezioni americane come di un’enciclopedia, ha scoperto Gadda Carlo Emilio e la sua divagazione sull’edilizia. C’è chi immagina divenga l’espediente di una campagna per un’impresa di costruzioni e si rintana in biblioteca.
C’è chi invece vorrebbe sottrargli ritmo o lingua per un articolo giornalistico che denunci la modalità nella quale è stata gestita, sino ad ora, la promozione del prossimamente Nuovo Policlinico di Milano.
Venere vestita. Il riferimento è ad una campagna sulla quale si è già detto molto e non credo occorra infierire. Quel che preme sottolineare è che, sempre all’Università degli Studi di Milano, il professor Lacchin, docente di Estetica, inserisca nella sua “tabella di marcia” uno studioso del calibro di Georges Didi-Huberman, autore di uno studio su Venere e la sua nudità, dal titolo italiano Aprire Venere. Nudità, sogno, crudeltà. Da un lato l’immagine della Venere di Botticelli serve la promozione del territorio italiano; mentre – dalla parte dello studioso d’oltralpe – Venere, se asservita a logiche altre, conserva quell’aura che la rende perno dialettico, l’oggetto di un’incessante ricerca per la quale lo studioso non manca di riferirsi a rinomati teorici del Novecento; su tutti Aby Warburg, ma anche Sigmund Freud e Georges Bataille. I due percorsi, quello orchestrato dall’ex dirigente del ministero del Turismo Francesco Paolo Schiavo e quello del filosofo francese, divergono. D’altronde: il primo avrebbe avuto la responsabilità sulla campagna di comunicazione Open to meraviglia; il secondo è studioso di chiara fama, docente all’ École des hautes études en sciences sociales. L’indagine potrebbe terminare qui; se solo non vi fosse, da parte di giovani laureati all’Università degli Studi di Milano, il desiderio di conciliare quanto appreso con la professione. C’è chi vorrebbe fare il giornalista. C’è chi ha la cartella stracolma di domande da fare. Ognuno di loro conserva la certezza che la libertà sia proprio questo: mettere a frutto ciò che si è e ciò che si è appreso. Tra i diritti inalienabili, l’espressione passa in sordina, relegata, come spesso è, al tempo libero; ma è la suddivisione tra quest’ultimo e l’occupazione lavorativa che dovrebbe sola far riflettere. La presente indagine nasce nella ferma convinzione che le domande, le incertezze degli iscritti a facoltà umanistiche, quest’oscillare – per alcuni – tra la teoresi e la prassi, costituiscano un patrimonio di inestimabile valore per il settore imprenditoriale.
O forse no?
II
L’ADV
Lui e lei al Civico 8 di Via Cola di Rienzo[1]. Lei vagheggia su di una campagna che non sia celebrativa e pensa a una nota maison. Lui domanda cosa questo voglia dire. Forse con l’ironia? Non male come idea. Ma la domanda di Lei – forse tangente – è diversa: possibile che la critica sia relegata alla critica e alla promozione non resti che magnificare il proprio oggetto? Lei domanda come la maison, spingendosi sino al paradosso, sia difatti riuscita a detenere un vero e proprio “monopolio del naturale”. A strutturare le sue campagne il fortuito, il naturale; stimmate che non possono non correlarsi al concetto di simulazione, a costo di chiedersi se in queste immagini, per dirla con Baudrillard, non vi sia niente da vedere. L’etica sarà esclusivo appannaggio della produzione spettacolistica, documentaria, cinematografica?
Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria non aiuta.
Il Bilancio di Sostenibilità 2022 di OTB Group recita: «Il Gruppo è impegnato a raggiungere l’obiettivo Net Zero nelle sue operazioni interne entro il 2030, per questo ha deciso di allineare i propri obiettivi ai criteri della Science Based Target initiative. Come parte di The Fashion Pact, OTB è in prima fila per limitare gli impatti dell’intero settore sull’ambiente. Il Gruppo è inoltre promotore della nascita del Consorzio Re.Crea, fondato in seno alla Camera Nazionale della Moda Italiana insieme alle più importanti aziende della moda e del lusso italiane. Con l’obiettivo di adottare un approccio condiviso per la gestione dei prodotti a fine vita e di promuovere soluzioni innovative per il riciclo». E ancora: «Il Gruppo OTB sperimenta nuovi modelli di business per dare vita a un nuovo sistema moda: ogni Brand del Gruppo è chiamato a sviluppare prodotti innovativi e responsabili a partire dalla fase di progettazione fino a quella di smaltimento, per favorire la circolarità del prodotto e ridurne l’impatto ambientale. OTB è impegnata anche nel promuovere collaborazione, trasparenza e tracciabilità nella catena di fornitura e a sviluppare programmi mirati di responsabilizzazione dei fornitori»[2]. Leggendo il report capiamo anche come Jil Sander+ sia una collezione «basata sulla ricerca di prodotti che coniugano estetica e comfort, raffinatezza e resistenza agli agenti atmosferici. Il simbolo + definisce l’utilizzo di fibre organiche, performanti e spesso ecosostenibili; inoltre la maggior parte dei tessuti e dei materiali sono tecnici o naturali»[3].
Quindi: proporre un prodotto ecosostenibile, rispettoso dell’ambiente, responsabile e naturale. Naturale è identificativo della natura dei materiali e dei tessuti utilizzati; e insieme perno sul quale verte la comunicazione della maison, quantomeno dalla direzione creativa Meier in avanti. Sembrerebbe non esserci alcunché di improprio. Eppure la critica si difende, stufa d’essere relegata ai suoi confini. La critica domanda quale percezione abbia la maison di significanti quali “natura” e “naturale”. Esiste una differenza ben profonda tra la natura ed un prodotto. Il prodotto è l’oggetto di un investimento e di una progettualità pregresse. Investimento e progettualità sono termini che sfuggono la presa della “natura”.Le antinomie e i paradossi sfociano in un’architettura magistralmente congegnata, quasi che in fondo ci basti la riconoscibilità del brand. Quasi che l’etica possa riguardare il cinema, la politica, la cinematografia documentaria, lo spettacolo, l’intrattenimento, ma nulla abbia a che vedere con la promozione.Il modello piace e funziona, tanto da avere emuli in scala ridotta, ma non aiuta la comprensione delle dinamiche non tanto della comunicazione, quanto di ciò che ci circonda.
E intanto che OTB (Only The Brave di Renzo Rosso) si assesta su sostenibilità, sulle risorse dell’AI e su di un nuovo progetto dedicato al Made in Italy, che conoscerà – secondo la pagina LinKedin del gruppo – il suo apogeo il 15 di aprile, data nazionale del Made in Italy[4]; Marni (OTB) promette contenuti ingaggianti[5](alla faccia del made in Italy) e una celebre maison raccoglie il guanto lasciato cadere dal Ministero del Turismo, costellando la propria campagna F/W 2023 di rimandi a celebri dipinti ubicati agli Uffizi di Firenze. Ai riferimenti figurativi di New Renaissance (questo il titolo della campagna di Ferragamo) si aggiunge una volontà esplicita ed esplicitata: ovvero quella di mostrare nel suo farsi la campagna medesima, come accade nel video caricato su YouTube, nell’intenzione di celebrare l’azione collettiva di una community[6]. La campagna è meravigliosamente congegnata, tanto nei suoi aspetti estetici e visuali, quanto nella comunicazione verbale. Quello che manca è un vero “in the making”. Non si intravede via d’uscita possibile da quanto prodotto. La campagna è talmente radicata in una storia presunta o reale, quale quella di Salvatore Ferragamo, fatta di un sentimento di appartenenza a Firenze e di un’esperienza creativa ancorata al patrimonio degli Uffizi; da non poter essere intaccata dalla critica.
Lui e lei al Civico 8 di Via Cola di Rienzo[7]. Lei vagheggia su di una campagna che non sia celebrativa e pensa a una nota maison. Lui domanda cosa questo voglia dire. Forse con l’ironia? Non male come idea. Ma la domanda di Lei – forse tangente – è diversa: possibile che la critica sia relegata alla critica e alla promozione non resti che magnificare il proprio oggetto?
Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria non aiuta.
[1] Conversazione realmente avvenuta nella cornice del Circolo NonostanteMarras. La maison alla quale qui si fa riferimento non è, tuttavia, da ascrivere alla casa di moda di Antonio Marras.
[2] https://sustainabilityreport.otb.net/2022/it/, URL consultato il 12/08/2023.
[3] Ibidem.
[4] Pagina LinKedin OTB, URL consultato il 12/09/2023.
[5] Il riferimento è alla presentazione del numero di A MAGAZINE curato da Francesco Risso.
[6] Comunicazione Ufficio Stampa Ferragamo 01/09/2023.
[7] Conversazione realmente avvenuta nella cornice del Circolo NonostanteMarras. La maison alla quale qui si fa riferimento non è, tuttavia, da ascrivere alla casa di moda di Antonio Marras.