L’abito e la crepa. Un dialogo sullo strip tease tra Barthes e Baudrillard

Agnese Azzarelli

Iridata di luci vivide, messa in risalto dai gioielli, ornata d’una voluminosa parrucca arancio, Usha Barok, una sanguemista austro-polacca, continuerà la tradizione del Crazy Horse: creare colei che non si prende tra le braccia.

Bernardin, direttore del Crazy Horse Saloon

Tutto questo è la storia dell’occhio. La storia del desiderio come di ciò che si consuma di fronte all’evanescenza del suo oggetto.

Jean-Louis Comolli

Pellicce, ventagli, guanti, piume, calze a rete. Siamo tra il 1954 e il 1956 e Barthes, Roland Barthes, enumera, in un testo che andrà poi a confluire in Mythologie, gli accessori classici del varietà, quegli strumenti senza i quali non si consumerebbe il rituale consueto: quello confortevole della mistificazione. Ogni particolare par condannare lo spettacolo all’insignificanza, a cominciare dalle coperture che avvolgono il corpo della donna, non da ultima l’aura esotica. Un «esotismo stereotipato, che allontana il corpo nel favoloso o nel romanzesco» (Barthes). Riassumendo: una cinese munita di una cannuccia da oppio, una vamp ondulante dal bocchino gigantesco, lo scenario veneziano con gondola, un vestito à paniers e cantore di serenate. Sotto lo sguardo desiderante (o consumato anch’esso) dello spettatore si avvicendano abili e consumate professioniste.

A Parigi pare addirittura che ci fosse uno strip-tease club, a detta di Roland, con premi edificanti (come abbonamenti a lezioni di educazione fisica o omaggio di romanzi) o utili (come cinquemila franchi o calze di nailon).


Insomma, la conclusione è netta: a Parigi lo strip-tease si imborghesisce, consacrato dall’alibi dello sport settimanale o dall’arte. Ma ecco che, in un testo come L’Échange symbolique et la mort, testo nel quale è esposta una mirabolante distinzione tra i diversi tipi di simulacri, Baudrillard insinua nel discorso di Barthes una piega. Perché per Baudrillard lo spettatore borghese di Barthes altro non è se non l’escluso.

L’interdetto che lo show pone al suo fruitore è imperioso: non nega che lo spettatore possa ricevere dallo spettacolo. All’uomo è interdetta la possibilità di dare. È questo il patto stipulato al momento dell’accordo, ovvero dopo aver varcato la soglia del Crazy Horse Saloon. La domanda non è originale, ma non è forse questo patto lo stesso che un qualsiasi avventore di un qualsiasi cinema contrae con una qualsiasi pellicola di qualsivoglia film e regista? Cerchiamo di scoprirlo.

Prendiamo una nota sequenza, tratta da À propos de Nice di Jean Vigo. Nella sequenza è interdetto lo sguardo della donna che, gradatamente, si cambia d’abito, si spoglia e infine si denuda sotto lo sguardo dello spettatore. Lei non compie alcun movimento, sembra che sia la cinepresa a spogliarla. Allo spettatore non resta che demandare la sua azione ad un altro.

MARCELLO MASTROIANNI 8 1/2 EIGHT AND A HALF (1963)

Ma anche qui la domanda permane, perché come non dimenticare la scena del carnevale, in cui lo spettatore pare proprio insinuarsi sotto le gonne delle giovani in festa? Confrontiamo ora questa sequenza con un’altra scena, questa volta smaccatamente italiana: la scena che vede, l’uno di fianco alle altre, Mastroianni, Anouk Aimée, la moglie, e Sandra Milo, l’amante. Nel corso di tutto il film, sino a questo punto, è portata avanti un’identificazione tra lo spettatore e Guido. Ed ecco che quella che pareva essere una catastrofe, la situazione che pareva aver incrinato ulteriormente i rapporti tra Guido e la moglie, si tramuta, nell’immaginazione del protagonista, in un amabile incontro scandito dalle note di Nino Rota. Milo e Aimée si ricongiungono e Guido assume proprio le vesti e l’atteggiamento dello spettatore, con tanto di applauso finale.

Qui propriamente le donne si fanno bambole, come nello spogliarello a cui fa riferimento Baudrillard: oggetti fatti per essere vestiti e svestiti. Nel caso di 8 e ½ le donne sono fatte roteare dall’immaginazione di Guido o di Guido “lo spettatore”. Questo è il compimento di un desiderio che consiste nel manovrare l’azione comodamente seduti su di una sedia. E non importa che questa sia la poltroncina d’una sala cinematografica e non importa neanche che anche qui sia una mistificazione, soltanto magistralmente congegnata.

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