Hadal Zone. bn+BRINANOVARA

Francesco Beneggi

Il progetto Hadal Zone si colloca nella piega del processo artistico in cui il corpus di dipinti a tinte profonde, insieme a oggetti parzialmente fotosensibili, genera un ambiente che vuole essere autonomo e mutevole nel tempo. La ricerca, definita de-autoriale, si innesta nel Manierismo con un atteggiamento ricombinatorio simile alla post-produzione, per il riscontro di un’affinità metodologica in esso. Come se i pittori del Manierismo, a loro volta, fossero grandi burattinai di immagini prefabbricate. Infatti, il ritratto e la sua ambientazione classica accadono di nuovo nelle porzioni tessili selezionate e riprodotte. La distanza temporale viene così annullata e il passato si unisce al presente.

Di seguito, un testo di accompagnamento alla mostra Hadal Zone del duo artistico bn+BRINANOVARA, tenutasi a Spazio In Situ, Roma, tra settembre e ottobre 2020, curata da Valentina Muzi. Il titolo dell’esposizione richiamava il concetto di zona adale, ovvero un luogo in cui diverse autonomie sono capaci di coesistere. Il catalogo forniva una stratificazione di testi, di diversi autori, che nel loro complesso divenivano parte dell’esperienza vissuta dal visitatore della mostra. Le opere in mostra interrogavano chi entrava nello Spazio In Situ sul concetto di creazione dell’opera d’arte e della sua interpretazione, e sulla perdita dei confini tra virtuale e reale.



Il Leviatan fa rilucere dietro a sé un sentiero; si direbbe che l’abisso è canuto.

Giobbe (Melville 1976)

E ancora, qualunque altra cosa giunga nel caos della bocca di tale mostro, sia essa animale, barca o sasso, se ne va giù irrefrenabile in quel suo fiero e immenso trangugiare, e nell’abisso senza fondo della ventraia perisce.

Holland, Scritti morali di Plutarco (Melville 1976)

[…] sputo su di te il mio ultimo respiro.

Achab in punto di morte, rivolto a Moby Dick (Melville 1976)

Le acque mi hanno circondato fino al respiro,

l’Abisso mi ha avvolto,

l’alga mi si è avvinta al capo.


Giona, pregando nel ventre della balena (Giona 2:5)



Una volta ho sentito una ragazza di Quito urlare di gioia nel cuore dell’inverno. Ero a Milano: mi sono affacciato alla finestra e l’ho vista correre, tuffandosi con tutto il corpo nel prato candido. Aveva diciassette anni ed era la prima volta che vedeva la neve; assurdo. Quel giorno mi chiesi quante cose non avessi visto io nella mia vita, e stesi una lista. Da quel momento sono vittima di un’ossessione: ogni volta che qualcosa mi sputa addosso l’indicibile prendo una penna nera o il telefono e scrivo un elenco. È il cadere inesorabile delle righe che mi calma: il lento precipitare di ciò che le parole mancano porta la mia ansia al suo punto di fusione, in un pacifico morire dove io sto bene. Non è che metta in ordine il mondo, preso da una mania di controllo; è che sprofondo, lontano dall’esplosione, nella gola dell’irresponsabilità. Come se l’insolubile eccesso di realtà dovesse morire. Ecco: fare elenchi è il mio modo di strangolare l’eccesso. L’altra notte, sull’umido marciapiede di là dalla strada, barcollava un uomo solo, alto, ossuto e albino. La striscia dei neon sopra la sua testa lo faceva sembrare un alieno, o uno zombie con grossi occhi liquidi. Una pioggia di moscerini illuminati erano la sua polvere e il suo destino. Improvvisamente, mentre le luci languivano, l’uomo si è voltato verso di me e ha sorriso. Con quel debole spasmo sembrava compatirmi. Io pietrificato, impassibile. Nodo in gola. Gli unici pensieri: disobbedire all’eccesso, strangolare, soffocare. La realtà deve morire sotto le luci di un neon. Ho tirato fuori il telefono, aperto le note e scritto la mia lista.
 
NEON: dal greco ‘nuovo’. Fu detto del tempo, e dell’aspetto di un tale che si presentò al porto nudo, coperto dalla testa ai piedi di grasso sperma animale.
 
COLOMBA: quello sembrava, bianco della sostanza cerosa che lo copriva. Pronto a spiccare il volo.
 
OROLOGIO: “Sette e trenta!”, “Otto e dodici!”: un uomo, in piedi sul molo, urlava l’ora. Attendeva la lancetta. Alcuni bambini lanciavano giocattoli in acqua. Intanto un’anziana signora cieca faceva l’orlo, cioè elencava i colori dell’abisso.
 
TESCHIO: è un vaso di coccio che contiene il grasso. Lì affondarono le mani dell’uomo. Mentre si ungeva il corpo guardava il novembre umido e piovigginoso fuori dalla finestra, preludio di quell’inverno da cui sarebbe fuggito per sempre.
 
INVERNO: presso certe culture sinonimo di ‘impossibile’.
 
TRASGREDIRE: in geologia, il movimento di avanzata del mare sul continente. La maggioranza se ne stava in superficie. Lui invece voleva profondarsi.
 
NAVE: “veicolo che scorre sulle acque”. Il capitano era sordo.
 
SORDO: dalla radice ‘svard’: “essere oscuro, cupo”, “lontano dal suono”. Non sentì né il tonfo del corpo gettato in acqua né il silenzio muto che i suoi marinai fecero dopo che un grosso pesce inghiottì l’uomo.
 
LANCETTA: deriva da ‘lancia’, ma anche da ‘arpione’, l’arma usata per catturare i mammiferi marini. L’arma usata per ferire il tempo. Quando il grosso animale inghiottì l’uomo incerato, il tizio sul molo smise di urlare.
 
VENTRE: luogo di culto. Il grembo che per settantadue ore custodì l’uomo fosforescente.
 
PIOGGIA: una quantità indiscriminata di oggetti e cianfrusaglie scivolava lungo le pareti viscose dell’animale, condotti dall’oblio. L’uomo riponeva tutto in un angolo del grande addome. Raccolse molti giocattoli.  
 
SETTANTADUE: ore. La profondità raggiunta dal mammifero in immersione. Il punto toccato dall’ultimo raggio di sole, oltre cui il grosso pesce non va. Il momento in cui l’uomo fu sputato fuori dal ventre, assieme al resto. Egli precipitava molto lentamente, come l’insegna luminosa di un night verso i fondali.
 
CREPUSCOLO: un osso di seppia che fiocca nella tenebra.
 
PARADOSSO: Sul bordo occidentale della luna esiste l’Oceano delle Tempeste. Nera epidermide basaltica.
 
SUPERFICIE: l’anziana signora cieca continuava a fare l’orlo.
 
ASSURDO: “lontano dalle onde”, sul fondale dove l’uomo atterrò. Il grasso gli si staccò dal corpo in piccoli cristalli oleosi, brillanti come lucciole di mare. Egli rise e gridò di gioia, e nessuno lo sentì. Nevica anche nel regno dei morti.

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