L’artificio del naturale

Sofia Busignani

 

Construire la beauté dans le chaos est devenue le défi de notre époque.[1]

 

Fin dagli anni ’80, varie casa di moda hanno iniziato a rendere sempre più spettacolari le loro sfilate: nell’epoca del consumismo, il consumatore è sempre più alla ricerca di emozioni forti, anche passeggere; l’importante è che sul momento suscitino in lui qualcosa. Parafrasando Max Weber: la modernità ci ha portato al disincanto nei confronti del mondo, il quale ci stupisce sempre meno.[2] In quest’ottica, la cultura dei consumi è la risposta al disincanto. Le nuove forme di consumo spettacolarizzato sono la risposta naturale alle esigenze della società. Ora, nel momento in cui la merce (nel caso delle sfilate: vestiti indossati da corpi in movimento) viene mostrata in modo da colpire lo spettatore, suscitando in lui un’emozione; nel momento in cui lo spettatore tornerà ad essere consumatore, cercherà nell’esperienza di consumo quella stessa emozione provata da spettatore. Per cui il valore della merce non sarà più tanto determinato dal puro costo dei materiali, bensì più dal costo dei mezzi utilizzati per renderla emotivamente impattante (concretamente: quanto si è speso in comunicazione, pubblicità e distribuzione, etc.). Ora, infine, è il contesto che attribuisce il valore alla merce, trasmettendo un messaggio specifico.
 
Nell’ambito della moda, le sfilate sono sicuramente un forte mezzo di comunicazione: anche quando non sono spettacolari, trasmettono sempre un messaggio. Ci sono stati stilisti che più di altri hanno sfruttato un’estrema spettacolarità per trasmettere messaggi voluti, che fossero più sociali (Alexander McQueen) o semplice esaltazione della gioia di vivere (Karl Lagerfeld per Chanel). Nell’ultimo decennio, e sempre più negli ultimi anni, un tema che si è affermato sempre più sulla passerella è stato quello ecologico-climatico, in risposta ad un’affermazione mediatica del tema in ascesa. Conseguenza diretta è stato un aumento dello sfruttamento dell’elemento naturale nella sfilata, tendenzialmente per condividere il punto di vista della maison sull’argomento. Naturale può essere l’ambientazione, così come gli elementi d’arredo della passerella.
@ Rising Nepal Daily / kasafashionrunways.com
A gennaio 2020 la firma KASA (Kathmandu) ha vinto il guinness dei primati con il suo Mount Everest Fashion Show: è stata la sfilata tenuta alla maggiore altitudine di sempre, al campo base Khala Patthar (5,643 m); i modelli, provenienti da tutto il mondo, hanno camminato per 14 giorni per raggiungere il luogo dell’evento, in cui hanno sfilato indossando abiti di fattura totalmente sostenibile. Intento dichiarato di KASA era “di attirare l’attenzione del mondo sugli effetti del cambiamento climatico non solo sui territori urbani ma anche sulle montagne e sugli oceani, effetti derivanti dai prodotti di scarto delle industrie di moda”. [3] Anche la stilista russa Jana Nedzvetskaya aveva voluto usare un’ambientazione estrema per la sfilata della collezione primavera/estate 2015: dopo un anno di addestramento, le sue modelle erano riuscite a “sfilare” sott’acqua seguendo uno schema di movimenti che suggeriva quasi una narrativa. In questo caso, l’elemento naturale era servito più per esaltare la fluidità dei tessuti che non la narrativa in sé, incentrata sulla denuncia ad una situazione sociale più che ecologica. [4]

Uno che ha sicuramente sfruttato ampiamente l’elemento naturale è stato Karl Lagerfeld per Chanel: dagli iceberg nel Grand Palais per il prêt-à-porter autunno/inverno 2010/2011; fino alla spiaggia, con tanto di mare, per l’haute couture autunno/inverno 2019/20, sempre al Grand Palais. In questi casi l’intento di denuncia ambientale di Chanel, anche se millantato da qualche critico (oltre che dallo stesso Lagerfeld) probabilmente resta più a un livello verbale della comunicazione, che non reale: trasportare montagne di ghiaccio dalla Svezia, o tonnellate di sabbia dentro al Grand Palais, improbabilmente saranno state azioni senza un grande impatto sull’ambiente. Nel caso di Chanel l’elemento naturale dunque è sinonimo di realismo: perché non ricostruire un bel bosco autunnale come giusta ambientazione per la collezione autunno/inverno (haute couture 2019/20)? Oppure, sempre con lo stesso criterio di realismo, far sfilare le modelle come se stessero facendo la spesa in un supermercato da sogno (prêt-à-porter autunno/inverno 2014/2015)? Molto dichiaratamente, Chanel vuole semplicemente immergere lo spettatore delle proprie sfilate in una situazione perfetta: nel supermercato le merci saranno disposte in modo perfettamente simmetrico, in perfetto ordine cromatico; nel bosco gli alberi saranno perfettamente distanziati; nella spiaggia la sabbia sarà candida e il mare cristallino. L’elemento naturale dunque, se e quando utilizzato, non sarà davvero naturale bensì artificiale, significante di un mondo ideale.
@ Jan Jordan / icehotel.com
Ad accomunare quanto visto finora, è il fatto che la sfilata – anche quando viene presentata come denuncia sociale – rappresenta sempre un mondo ideale cui aspirare. Inoltre, in riferimento agli ultimi anni, bisogna considerare che con l’avanzamento dei mezzi tecnologici e la conseguente perdita dell’esperienza quotidiana di natura, quest’ultima è diventata un’ideale, un sogno raramente realizzabile. Sono estremamente rari (nonché altamente costosi) i casi di sfilate in cui l’elemento naturale è risultato non artefatto: si vedano la già citata Mount Everest Fashion Show o le sfilate nel deserto di Pierre Cardin (2008), H&M (2013) e Dior (2018). In questi casi la natura è usata per uno dei suoi effetti più primordiali: lo stupore. Negli anni ’80 si è arrivati a tenere concerti durante le sfilate, ora si sfrutta la bellezza della natura per suscitare la meraviglia dell’uomo-consumatore. Non basta più restare a bocca aperta per qualche minuto di fronte a tonnellate di ghiaccio nel Grand Palais, si va direttamente sull’Everest.

La cultura dei consumi è la risposta al disincanto. Rispetto ad altri settori dei consumi, quelli nell’ambito della moda hanno subito una crescita imparagonabile negli ultimi anni. Di conseguenza, oserei dire che la sfilata risulta un mezzo di comunicazione particolarmente potente quando sa sfruttare bene l’elemento spettacolare (in funzione dello stupore dello spettatore-consumatore) assecondando le questioni politiche e sociali attuali. Chissà, se quando l’uomo vivrà sulla luna, il primo evento mondano non sarà una sfilata sullo sfondo di una terra al tramonto?

[1] Costruire la bellezza nel caos è diventata la sfida della nostra epoca. / https://www.marieclaire.fr/la-nouvelle-nature-de-la-mode,1284446.asp
[2] Max Weber, La scienza come professione ; La politica come professione; introduzione di Wolfgang Schluchter, Edizioni di Comunità, Torino, 2001.
[3] https://www.innaturale.com/una-sfilata-di-moda-sostenibile-entra-nel-guinness-dei-primati/
[4] http://www.topmodels.gr/russian-designer-jana-nedzvetskaya-exclusively-topmodels-gr/

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