Arte liberata alle Scuderie del Quirinale

Gianluca Carchia

© Alberto Novelli

Dal 16 dicembre al 10 aprile 2023, presso le Scuderie del Quirinale di Roma, è possibile visitare una mostra dalla forte valenza storica. ARTE LIBERATA 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra, curata da Luigi Gallo e Raffaella Morselli è organizzata dalle stesse Scuderie in collaborazione con la Galleria Nazionale delle Marche, l’ICCD – Istituto Centrale per il catalogo e la Documentazione e l’Archivio Luce – Cinecittà.
Il percorso di visita si sviluppa su due piani e prevede l’esposizione di oltre cento capolavori salvati durante la Seconda Guerra Mondiale, oltre che un ampio panorama documentario, fotografico e sonoro – riuniti grazie alla collaborazione di ben quaranta Musei ed Istituti – per un racconto di un momento drammatico per il nostro Paese ma altrettanto lungimirante e allo stesso tempo fondativo per la nostra coscienza civica.
Al centro del progetto espositivo è posta l’azione di Soprintendenti e funzionari dell’Amministrazione delle Belle Arti che, coadiuvati da storici dell’arte e rappresentanti delle gerarchie vaticane, si sono resi interpreti di una grande impresa di salvaguardia del patrimonio artistico-culturale.


Fra questi, in mostra si ricordano, attraverso stralci dei loro diari Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Emilio Lavagnino, Vincenzo Moschini, Pasquale Rotondi, Fernanda Wittgens, Noemi Gabrielli, Aldo de Rinaldis, Bruno Molajoli, Francesco Arcangeli, Jole Bovio e Rodolfo Siviero, agente segreto e futuro ministro incaricato delle restituzioni: persone che, senza armi e con mezzi spesso limitati, hanno preso coscienza della minaccia che incombeva sulle opere d’arte, schierandosi in prima linea per evitarla, consapevoli del valore educativo, identitario e comunitario dell’arte.
Una mostra, quindi, che mette al centro il senso dello Stato anche se, bisogna chiedersi quale. Le azioni di salvataggio avvenute tra il 1938 e il 1943, si collocano difatti durante il regime fascista la cui cultura era sotto la giurisdizione del ministro Giuseppe Bottai, il quale aveva organizzato il ricovero e la gestione del patrimonio in caso di guerra. Si tratta, infatti, della legge 1041 “Protezione delle cose di interesse artistico, storico, bibliografico e culturale della Nazione” emanata il 6 luglio 1940 e preceduta dalla circolare n. 150 della Direzione Generale la quale affida alle Soprintendenze il compito di distinguere i capolavori da trasferire nei rifugi, definiti “beni di maggior pregio”, dai cosiddetti “beni di alto pregio”, considerati inamovibili per fragilità e dimensioni, per i quali vengono adottate modalità di protezione in situ; analogamente, si dispongono tutele sul posto per la categoria dei “beni di secondaria importanza”. Quindi, è in questo contesto che agiscono i protagonisti della mostra, i quali hanno semplicemente seguito le direttive del ministero. La narrazione della mostra innalza ad eroi i soprintendenti durante tutto lo svolgimento delle azioni di salvataggio e di recupero. Ma, alla luce delle direttive ministeriali, se proprio è necessario raccontare la storia dividendo tra i buoni e i cattivi, è bene allora fare una differenza di matrice storica.

© Alberto Novelli

L’Italia entra in guerra il 10 giugno 1940 e, fino all’armistizio dell’3 settembre 1943, le azioni si sono potute svolgere con relativa calma. Quindi, è con questo avvenimento è con il relativo avanzare del fronte alleato, che l’azione dei nostri soprintendenti diventa veramente eroica. Infatti, c’era la necessità di recuperare le opere ricoverate nelle Marche, precisamente a Sassocorvaro e a Carpegna, così come quelle custodite nell’entroterra toscano, ligure e campano.
È qui che l’intraprendenza è venuta fuori e che oggi ci permette di godere delle opere – alcune in mostra – rilevanti per la nostra cultura.
Quindi, quale senso dello Stato ha guidato i funzionari? Fino al 1943 è il senso dello Stato di un funzionario, il quale mette a servizio le proprie competenze per gestire il vasto patrimonio culturale, dove la fede al regime era nascosta oppure non espressamente manifestata. Dal settembre 1943, quando uno Stato democratico non c’è ancora, la ragione che ha guidato i funzionari è stata quella di salvaguardare lo Stato dell’Arte. Ossia, quei principi che poi rientreranno nella nostra Costituzione e verranno collocati agli articoli 9 e 33.


L’Italia esce oppressa da venti anni di regime, il quale ha portato la popolazione prima in guerra con il resto del mondo e poi in una sanguinosa guerra civile. I bombardamenti hanno colpito fortemente il nostro territorio, causando migliaia tra vittime e dispersi. È in questo momento, quindi, che il salvataggio del patrimonio non poteva che essere nelle mani di chi fino a quel momento era il massimo esperto. Uomini e donne, addestrate alla gestione pubblica, hanno avvertito sia un forte senso dello Stato che dell’identità nazionale da risollevare, rischiando la vita in prima persona per proteggere la storia e la cultura italiana. La Resistenza dell’Arte è omaggiata da questa mostra, il cui valore è prima di tutto civile che storico. I bombardamenti e l’occupazione sono stati vinti con la conoscenza e la dedizione per il nostro Patrimonio insieme a doti di strategia e audacia. Un percorso, questo, avviato dal ministro Bottai nel 1939, il quale ancora oggi è alla base del nostro Codice dei Beni Culturali, e che, certamente, è stato di ispirazione per chi, dal 1943 ha provveduto a salvare il nostro Patrimonio. La storia è importante, così come è importante capire e discernere i vari momenti. La mostra alle Scuderie del Quirinale consente di capire il percorso delle nostre opere d’arte e il momento terribile che la nostra cultura ha dovuto passare e che, inoltre, sia senza la lungimiranza di Bottai, che ha agito su esperienza della guerra in Spagna del 1936, sia in seguito senza lo spirito dei soprintendenti, oggi probabilmente molte delle nostre opere pittoriche, scultoree e librarie sarebbero fruibili all’estero o addirittura disperse.

© Alberto Novelli

Il percorso della mostra

L’ingresso alla mostra, dopo aver percorso la rampa elicoidale, è costruito ad effetto. Il patrimonio saccheggiato è destinato alla tenuta di Göring oppure al grande museo che Hitler vuole costruire a Linz in Austria. Il progetto del Führer, presente in mostra in una riproduzione fotografica, era quello di far diventare il suo Reich il centro mondiale dell’arte, dalla classicità in poi. Nella prima sala, oltre ad Hitler che ammira il suo museo, sono presenti due filmati dell’Istituto Luce che testimoniano il suo viaggio in Italia, Napoli e Firenze in testa, dove si può vedere il cancelliere tedesco attento al patrimonio nostrano e, allo stesso tempo, attento a fantasticare su come costruire il suo museo.
Come spiega Scroccu
Hitler e Göring incarnavano nella loro massima leadership la visione che i nazisti avevano dell’arte e il motivo per cui volevano depredare quella degli altri paesi europei. L’arte era per i nazisti un modo per affermare l’eredità rispetto ad un potere antico, soprattutto riferito al mondo greco, rinnovato dal regime e trasformato in una nuova, grande potenza, costruita da persone come loro, anche con estrazione medio-borghese come il Führer ma non per questo prive del massimo gusto estetico che doveva ispirare la nuova Germania.
Personalità importanti, quindi, come Hans Posse che riceve l’incarico di dirigere e selezionare le opere per il Führermuseum, incarico assunto successivamente da Herman Voss. La mostra segue un preciso percorso storico e figurativo in quanto il primo piano riporta le esportazioni forzate mentre il secondo ricorda l’azione dei soprintendenti divisi per città, da Nord a Sud.
L’ingresso è proiettato sul far comprendere come Hitler ammirasse e desiderasse costruire una storia e una cultura al suo ipoteticamente millenario Reich. Il Discobolo Lancellotti è presente eccezionalmente in mostra davanti alla foto che ritrae Hitler di lato allo stesso durante il suo viaggio in Italia nel 1938. Il Discobolo, vincolato nel 1909, viene acquistato dal Führer per 5 milioni di lire, grazie alla intercessione di Gian Galeazzo Ciano, che diventa immediatamente punto di riferimento dell’estetica nazista e dell’ideale ariano di bellezza virile.
Prima figura ad essere raccontata è Pasquale Rotondi, allievo di Adolfo Venturi e Pietro Toesca. Il soprintendente alle Gallerie della Marche effettua un vero e proprio fondamentale salvataggio, gestendo due ricoveri e andando oltre anche il rischio militare. Rotondi prende accordi con il principe Falconieri a Carpegna il quale, nel suo palazzo, ospita i dipinti di Caravaggio provenienti dalle chiese romane di San Luigi dei Francesi e di Santa Maria del Popolo, oltre che le opere del Castello Sforzesco, di Brera e i dipinti di Venezia insieme al Tesoro di San Marco. Rotondi, dopo aver salvato fortunosamente le casse durante una ispezione tedesca, nell’ottobre del 1943 decide di spostare il materiale prima nei sotterranei di Palazzo Ducale e poi, a gennaio del 1944, al Vaticano.
Qui, incontra Emilio Lavagnino, ex funzionario della Soprintendenza di Roma. Lavagnino, che era stato allontanato perché antifascista, ha gestito il ricovero di Sassocorvaro e ha aiutato Rotondi per il trasporto verso il Vaticano. Un riconoscimento doveroso per un uomo abbandonato dal regime e che, in maniera spesso avventurosa e grazie all’appoggio del cardinale Montini – futuro papa Paolo VI – ha permesso il salvataggio delle opere.
In primo piano, oltre alla qualità delle opere, colpiscono i resoconti, insieme all’allestimento. Rotondi salva quasi diecimila opere, raddoppiando il salvataggio effettuato da Bruno Molajoli in Campania di 5900 pezzi. I loro diari, riprodotti in parte nei pannelli allestitivi, aiutano a ricostruire le difficoltà logistiche e i percorsi avvenuti durante il trasporto.
Incredibile il passo citato da Vincenzo Sorrentino nel suo saggio su Molajoli:
Pur di sottrarre al sempre maggior pericolo quante più opere d’arte, e quanto più sollecitamente, fosse, possibile, finimmo col servirci di qualsiasi mezzo fosse più prontamente disponibile; ricorderemo, per fare un solo esempio, come dovemmo trasportare a Liveri, su una camionetta, le dieci grandi tele di Mattia Preti, tolte dal soffitto della Chiesa di S. Pietro a Majella e allora appena restaurate: l’eccezionale altezza del carico verticale, mentre provocava continui sbandamenti e la minaccia di veder rovesciarsi il troppo esile automezzo col suo prezioso carico, oltre tutto trovava ostacolo nei rami degli alberi che si protendevano sulla strada, tanto da costringerci a lunghe soste per scansarli e, talvolta, per reciderli, al fine di liberare il passaggio. 

Discobolo Lancellotti, II sec. d.C., Marmo, Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme
Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Nazionale Romano / Palazzo Massimo alle Terme.

Dal Discobolo all’Estasi di Santa Cecilia di Cavallino, alla Tempesta di Giorgione tenuta in casa da Rotondi stesso e il San Giorgio del Mantegna in mostra è rappresentato il simbolo del coraggio e del senso dello Stato, così come spiegato in precedenza. Ma la mostra al primo piano presenta altri capolavori salvati. A partire dagli arazzi con le Storie di Alessandro Magno, la Madonna con il Bambino tra i Santi di Luca Signorelli, il Perdono di Assisi e l’Immacolata Concezione di Federico Barocci per concludere con la bellissima Madonna di Senigallia di Piero della Francesca.

Francesco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni, 184, Olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera. © MiC – Pinacoteca di Brera, Milano.

Al secondo piano si procede con la narrazione dedicata alle città italiane, da Torino a Palermo, le cui narrazioni tuttavia non sono inserite in senso geografico.
Si parte dal capoluogo piemontese, dove è possibile vedere alcuni reperti dal Museo Egizio bombardato e una delle tavole più interessanti di Previati che, il lavoro importante di Noemi Gabrielli, ha salvato. Un discorso al femminile che si affianca a quello di Palma Bucarelli a Roma e a Fernanda Wittgens a Milano. La Wittgens coordina, insieme al Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, il trasferimento dei dipinti da Brera negli Appennini. A lei si deve il salvataggio del Cristo Morto del Mantegna, della Pala di San Bernardino di Piero della Francesca, dello Sposalizio della Vergine di Raffaello, la Cena in Emmaus di Caravaggio, le vedute di Bernardo Bellotto e Canaletto, oltre che il Ritratto di Manzoni di Francisco Hayez, presente in mostra.

Piero della Francesca, Madonna col Bambino e angeli detta Madonna di Senigallia, 1474 circa, olio e tempera su tavola, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche. © MiC – Galleria Nazionale delle Marche – Ph. Claudio Ripalti.

Da Milano la narrazione di sposta in laguna, dove nelle fotografie installate su legno che ricordano gli imballaggi dimostrano le difficoltà nel proteggere Venezia. Dal 1940 al 1943 la città ha visto trasferire oltre cento casse con opere monumentali, tra cui i teleri di Tintoretto per la Madonna dell’Orto, che sono state caricate su chiatte e trasportate lungo i canali, prima di riprendere il viaggio su terraferma. I veneziani, sotto la guida di Vittorio Moschini, riescono a smontare anche la poderosa Assunta della chiesa dei Frari, aiutati sia da Rotondi che da Rodolfo Pallucchini. In mostra è possibile osservare il Ritratto di Battista Morosini di Tintoretto e la Diana e Callisto di Sebastiano Ricci.
A Roma, oltre ad Aldo de Rinaldis, Soprintendente alle Gallerie e alle opere d’arte medievali e moderne, troviamo il racconto e il ricordo di Palma Bucarelli. Collaboratrice di Lavagnino, Bucarelli diventa ispettrice della Galleria Borghese a 23 anni mentre, nel 1941, diventa direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Guidata da un forte carattere e supportata dalla sua Fiat Topolino, la direttrice conduce le opere del suo museo sia nei sotterranei di Castel Sant’Angelo che a Palazzo Farnese a Caprarola. Da Roma, in un ipotetico viaggio lungo gli Appennini per sfuggire dalla morsa sia della Linea Gustav che della Linea Gotica, la narrazione passa a Bologna dove Francesco Arcangeli ha salvato gran parte del patrimonio bolognese. Lo stesso avviene in Toscana dove, Giovanni Poggi, direttore degli Uffizi, ha diffuso il patrimonio in tutta la regione e, in mostra, è possibile comprendere la sua attività attraverso il Peccato di Adamo ed Eva di Frans de Vriendt, datato inizio XVII secolo.
Dopo la Wittgens e la Bucarelli, è il turno di ricordare l’attività a Palermo della soprintendente Jole Bove Marconi. Direttrice del Museo Nazionale del capoluogo, oltre che Soprintendente di Palermo e Trapani, Marconi riesce a far trasportare dal Museo nazionale alla Abbazia di San Martino delle Sale le Metope dell’area archeologica di Selinunte, oltre che i mosaici pavimentali di epoca romana e le grondaie leonine del Tempio della Vittorie di Himera. Tutti questi spostamenti sono avvenuti sotto la sua guida ed entro il 3 aprile 1943 salvandoli quindi dal bombardamento di due giorni dopo che ha danneggiato un’ala del museo. Marconi resta nei suoi uffici, li fa sistemare e riesce a portate avanti il trasporto verso il centro Italia di 220 casse e 135 gabbie oltre che ad accogliere i Monuments Men appena sbarcati in Sicilia. Marconi, Bucarelli e Wittgens, nella narrazione creata dai curatori, rompono il luogo comune della donna madre e custode della casa per raccontare di loro come funzionari in grado di gestire le emergenze e di impartire ordini anche agli alleati.

© Alberto Novelli

Le difficoltà logistiche nella mostra vengono ben denunciate dai collegamenti interrotti agli scarsi rifornimenti ma, come nel caso dei Genova, viene riportato il grado di conoscenza del nostro Patrimonio negli anni Quaranta. Infatti, Antonio Morassi e Orlando Grosso, rispettivamente Soprintendente alle Gallerie e Direttore dell’Ufficio Belle arti della città, salvano opere pressoché all’epoca sconosciute. Riescono a spostare 1071 casse con 295 viaggi da e verso gli Appennini centrali. Come si legge nel catalogo, Morassi e Grosso parlano di dovere in quanto nei confronti dell’Italia che verrà.
Dobbiamo per il nostro Paese rimarginare ogni ferita. Preparare la vita intellettuale della Nazione perché essa possa moralmente risollevarsi. Lo dobbiamo fare specialmente noi anziani per i giovani che verranno e che non sanno, non potranno sapere, se noi non ricomponiamo memorie, opere d’arte, libri, biblioteche. È un dovere al quale non possiamo né dobbiamo sottrarci. 
Lo stesso senso del dovere guida il Soprintendente campano Molajoli che deve difendere, oltre che i musei, le vaste aree archeologiche. In mostra, troviamo il Cerbiatto in bronzo di Ercolano accanto al Discobolo, l’Hermes in riposo di Pompei e il dipinto di Giovanni Paolo Pannini, Carlo di Borbone visita Benedetto XIV del 1746. Malajoli, come il suo collega toscano, sceglie dei luoghi strategici per ricoverare le sue opere, come l’Abbazia di Loreto di Mercogliano in provincia di Avellino.
Infine, come nelle migliori favole, il percorso si conclude con le restituzioni e il tributo alla azione dei Monuments Men guidati da Mason Hammond, filologo di Harvard. Con le oltre cinque milioni di opere salvate dal Collecting Point di Monaco di Baviera, i Monuments Men hanno restituito a tutta Europa i loro beni, agendo soprattutto in Italia, come dimostrano gli interventi al Camposanto di Pisa e i ritrovamenti presso Campo Tures nelle gallerie del Castello di Neumelans. Alla fine del percorso svetta la Danae di Tiziano, che Göring teneva nella sua camera da letto e che, molto probabilmente, è passata dal centro di smistamento di Campo Tures.
La mostra è un momento per poter raccontare, passo dopo passo, cassa dopo cassa, città dopo città, la guerra e i nostri beni culturali. Da Nord a Sud, è possibile osservare come le istituzioni, prima fascista e poi semi libera e americana, siano state fondamentali per la tutela e la conservazione. La lungimiranza e la precisione di Bottai, il quale ha ideato il metodo di salvaguardia in modo tale che, alla fine della guerra fosse stato possibile ritrovare ogni singolo pezzo, ha favorito i funzionari che, dopo l’armistizio, si sono trovati ad agire da soli. Da un lato i tedeschi, i quali avevo l’ordine di svuotare ogni rifugio, dall’altro gli americani, che dovevano impedire i saccheggi. Nel mezzo, i nostri soprintendenti e direttori di gallerie, i quali hanno gestito e spostato lungo l’Italia il nostro patrimonio per poterlo consegnare a noi.
Si stava, di fatto, costruendo la nuova Italia in senso democratico dove l’eredità culturale è stata posta come fondamento della nostra civiltà e difesa nella Costituzione. Senza il senso del dovere, più che dello Stato, dato che di Stato nel 1943 ancora non si può parlare, dei funzionari ricordati nella mostra, oggi, con molta probabilità, non avremo dei musei tra i più importanti nel mondo. Una mostra doverosa e rispettosa del nostro Patrimonio prima che della loro attività.

© Alberto Novelli

BIBLIOGRAFIA
– https://www.archivioluce.com/arte-liberata/
– Rachele Ferrario, Regina di quadri. Vita e passioni di Palma Bucarelli, Milano, Mondadori 2010
– Luigi Gallo, L’arte in guerra. Appunti per una storia della tutela negli anni del secondo conflitto mondiale, ARTE LIBERATA Capolavori salvati dalla guerra 1937-1947 a cura di Luigi Gallo, Raffaella Morselli, Electa, Roma 2023.
– Anna Mattirolo, Fare la guerra in Italia è come combattere in un maledetto museo, ARTE LIBERATA Capolavori salvati dalla guerra 1937-1947 a cura di Luigi Gallo, Raffaella Morselli, Electa, Roma 2023.
– Raffaella Morselli, Angriff auf die Kunst. Storici dell’arte in bicicletta, sotto le bombe, all’inseguimento delle opere d’arte italiane, ARTE LIBERATA Capolavori salvati dalla guerra 1937-1947 a cura di Luigi Gallo, Raffaella Morselli, Electa, Roma 2023.

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