Chiara Di Carlo
Dopo un lungo restauro, una parte del Castello Della Monica di Teramo riapre le porte con una splendida mostra dal titolo La camera delle meraviglie, ideata dal prof. Stefano Papetti e curata insieme ad Antonio D’Amico. Visitabile dal 21 gennaio al 7 maggio 2023, l’esposizione, organizzata in sinergia tra la Città di Teramo e il Museo Bagatti Valsecchi di Milano, ospita una sezione di preziosi oggetti di arredo tardorinascimentali collezionati dai fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi nel XIX secolo.
La mostra
Dopo aver percorso alcuni gradini e ammirato il curato cortile, varchiamo la porta del castello e ad accoglierci al pian terreno è il proprietario di casa, Gennaro Della Monica. Il pittore è rappresentato in una scultura nell’atto di disegnare, posto alla fine di uno stretto corridoio decorato da preziosi affreschi che raccontano la storia della città di Teramo, e accompagna idealmente il visitatore negli spazi dedicati all’esposizione.
Ai piani superiori è possibile ammirare la mostra La camera delle meraviglie, la quale si sviluppa in cinque grandi stanze in cui il tempo sembra essersi fermato. I trentasette pezzi in prestito dal museo Bagatti-Valescchi decorano gli ambienti e restituiscono l’impressione di essere sempre stati nel castello. Preziose vetrate policrome illuminano gli interni in un gioco di colori e forme che dialogano con gli affreschi e con gli oggetti in esposizione.
Mentre una “donna” ci spia tra le mura delle “camere delle meraviglie”, osserviamo un susseguirsi di suppellettili, armature, cassoni finemente decorati e intagliati, cofanetti in avorio. Nella prima sala sono collocati cinque pezzi d’inestimabile valore tra cui: un cassettone, una coppa, un piccolo contenitore, una cassetta e un forziere. Spicca alla vista la coppa in rame dorata con incastonata una conchiglia, perfetta unione tra natura e artificio, la quale presenta alla base una lavorazione moresca; un oggetto dalle sembianze mistiche che per la sua peculiarità è stata anche scelta come immagine simbolo della mostra. Nella sala è disposto un grande cassone di legno di pioppo risalente al XV secolo che, riccamente decorato in pastiglia dorata, dà luce alla stanza. Sul fronte vi è una fine decorazione vegetale che inquadra la scena cavalleresca raffigurante un corteo probabilmente nuziale, composto da cinque gruppi di figure che si susseguono in un tripudio di cavalli. Il fondo è finemente inciso e bulinato con decorazioni a girali vegetali. La rappresentazione è racchiusa entro due figure angeliche munite di scudo con simboli araldici, stemmi delle due casate unite in matrimonio: l’angelo di sinistra mostra lo stemma della famiglia Piccolomini.
La seconda sala presenta in esposizione un tavolo, una brocca, contenitore per ostie e tre cofanetti molto simili tra di loro, realizzati con foglia d’oro sul legno di pioppo e rilievi in pastiglia. Dei tre, uno in particolare, presumibilmente realizzato all’inizio del Cinquecento, è contraddistinto da episodi desunti dalla mitologia classica: Orfeo che incanta gli animali, Priamo e Tisbe, Diana e Atteone e il Giudizio di Paride. La scena forse più impattante è quella rappresentata sul fronte principale in cui Orfeo, in compagnia di Euridice e circondato da diverse piante, ammalia con la sua musica tutti gli animali disposti su una distesa erbosa. Si distinguono un cervo, un bovino, un lupo, un dromedario, un cinghiale e altre specie ordinate intorno alla figura di Orfeo, posta ovviamente al centro della composizione.
Entrando nella terza sala notiamo subito le tracce di affreschi che, sbiaditi dal tempo, fanno da scenografia a una segreta, una cervelliera e una maschera che richiama l’attenzione del visitatore. Avvicinandoci osserviamo il viso di un uomo di mezza età; la bocca e le narici presentano delle fessure, gli occhi invece sono segnati da forature sagomate. Viene definita «maschera della giustizia», denominazione derivante dall’Ottocento, periodo in cui nelle armerie fiorivano oggetti fortemente caratterizzati da elementi macabri. L’unicità dell’esemplare genera numerose incognite sulla sua conformazione che evoca due modelli diversi: le maschere da guerra romane di epoca imperiale e le maschere funebri diffusesi tra i popoli della steppa.
La quarta sala ospita numerosi manufatti bellici in un gioco di rimandi di colori e di forme, dalla finestra alle pitture murali, che imitano le decorazioni. Vi sono quattro fiasche per polveri utilizzate come contenitori per poveri da sparo, degli arnesi da artigliere, una daghetta da caccia, un’ascia con canna da fuoco e stilo, un bastone, una canna di scoppietto, un mazzafrusto, dei copricapi protettivi e un cassone in legno. Quest’ultimo manufatto sembra essere un oggetto d’arredamento acquistato da Della Monica e rimasto qui per decenni; fa parte invece della collezione Bagatti Valsecchi. Nella sua abbondanza decorativa è quello più prezioso e rifinito: ai lati vi sono due bassorilievi a pastiglia con soggetti desunti dalla mitologia classica mentre al centro vi è una tarsia lignea raffigurante un paesaggio architettonico con una chiesa dominante su una piazzola. Risalta alla vista anche un prezioso cappello maschile di pelle scamosciata ricamato in seta realizzato intorno alla metà del XVI secolo. Il manufatto è caratterizzato da una calotta allungata, composta da sei spicchi di tessuto fermati all’apice da un bottoncino; il perimetro è rifinito da una banda imbottita e ornata con un effetto torchon, interrotta da un lato da una decorazione a rosetta e dall’altro da una cornucopia che, in origine, reggeva piume di struzzo. L’intera superficie è riccamente decorata da raffinati arabeschi ricamati in verde scuro, in forte contrasto con la pelle chiara della struttura. Lo possiamo immaginare sul capo di nobili signori a cavallo mentre compivano qualche viaggio; infatti la struttura rigida del cappello e il materiale impermeabile lo rendevano proprio adatto agli spostamenti.
L’ultima sala, teatralmente allestita con delle gigantografie che narrano il contesto, presenta alcune armi da combattimento e due grandi armature, le quali rievocano la bizzarra usanza nobiliare di indossarle in occasioni di feste celebrative presso amici altolocati.
La mostra dà spazio all’immaginazione del visitatore il cui compito è unicamente quello di pensare al castello riempito con arredi sfarzosi, vicini a quelli presenti nell’esposizione, che richiamano il gusto del bello senza tempo. Al visitatore sta anche il compito di ricomporre i dipinti che decoravano gli interni, che probabilmente facevano eco alle celebri battaglie di Salvator Rosa, pittore che Della Monica stimava particolarmente.
Agli allestitori è toccato il compito di riabilitare il luogo restituendogli una seconda vita… a noi sta solo quello di visitarlo.
La riapertura del Castello e Gennaro Della Monica
Gennaro Della Monica, pittore teramano nato nella prima metà dell’Ottocento, e precisamente nel 1836, è stato un raffinato intellettuale e viaggiatore. Negli anni ’60 infatti visita tutte le città d’arte più importanti d’Italia, come Firenze, nel periodo in cui si assiste al cosiddetto gothic revival, e Milano. Nel capoluogo lombardo, in cui la mondanità era un aspetto importante della vita cittadina, personaggi del calibro dei Bagatti Valsecchi e Poldi Pezzoli restauravano le loro residenze ispirandosi alle grandi dimore aristocratiche del rinascimento, arricchendole poi con suppellettili preziose. Al rientro dai suoi numerosi viaggi, Della Monica, forte degli insegnamenti appresi, dà inizio alla costruzione della sua prestigiosa residenza neogotica.
Il castello domina imponente dall’alto del colle ‘San Venanzio’, con i suoi maestosi pinnacoli e le sue torri, fondendosi con un borgo medievale adagiato con naturalezza: strutture ottocentesche i cui stilemi sono contaminati da variegate essenze artistiche e architettoniche. Si va dal neogotico al moresco con gli affreschi presenti all’interno che risentono della rivalutazione dell’arte medievale e, in particolare, dell’architettura gotica. Il castello è stato fortemente voluto dal suo ideatore, rientrato definitivamente a Teramo nel 1867. Doveva comunicare visivamente la fortezza del potere con le sue caratteristiche di aspetto imponente e impenetrabile, infatti, i suoi passaggi segreti, i corridoi labirintici rappresentano una propria peculiare cifra stilistica. Abitò il castello dove vi collocò il suo studio personale, uno spazio intimo, creativo e culturale in cui custodire materiale prezioso: una grande quantità di appunti e disegni realizzati nel corso dei lavori relativi sia all’interno che all’esterno del complesso. L’edificio doveva sedurre, rappresentare il potere dello spazio e impartire una profonda lezione di estetica. Tutto ciò è stato perfettamente raggiunto tanto che oggi, dopo il restauro, costituisce un’icona del bello ma, nel corso degli anni, nella sua celebre e tormentata restaurazione, questo gioiello è apparso spesso abbandonato, fragile, ferito, riuscendo tuttavia a permanere, restare, proprio nella sua luminosa fragilità, un vero e proprio patrimonio della città di Teramo. È stato possibile, finalmente, elevare la struttura intaccata dal tempo o, dal divenire stesso del tempo, alla dignità che meritava e restituirla al suo splendore facendola resistere alla tentazione del buio artistico e culturale. In questa resurrezione tutto ciò che è accaduto trova la possibilità di un nuovo inizio: dare luogo a uno spazio creativo, multidisciplinare e fruibile che farà della città di Teramo un luogo culturale permanentemente attraente.
Bibliografia
– Catalogo della mostra La camera delle meraviglie al Castello Della Monica, Stefano Papetti e Antonio D’Amico (a cura di), Ascoli Piceno, Fast Edit, 2023.