Maria Elena Orlando
buy less, choose well, make it last.
Vivienne Westwood
Cosa si intende per innaturale? Cercando sul dizionario la parola innaturale appare la seguente definizione: «di azioni o sentimenti che si discostino dal comune modo di agire e sentire» [1]. Proprio all’opposto del comune modo di agire e di sentire è la rivolta delle sottoculture giovanili, che a tutt’oggi continuano ad influenzare la moda, l’arte e la musica contemporanea. Il termine subcultura o sottocultura si riferisce ad un determinato gruppo di persone che si differenzia negli stili di vita, nelle credenze e nelle visioni del mondo della cultura dominante. Dall’analisi delle subculture punk di Dick Hebdige, teorico e sociologo dei media britannico, emerge una concezione dello stile sottoculturale come interferenza alla cultura dominante. [2]«Tra le principali ideologie del punk troviamo: l’antirazzismo, anticapitalismo, antispecismo, vegetarianesimo e a tal proposito sono emblematiche le vicende inglesi legate a esperienze musicali e comunitarie».
Nel 1976 venne pubblicato l’album Anarchy in the UK, album dei Sex Pistols, band destinata a sconcertare il mondo intero. Dai loro testi emerge la solitudine, l’anarchia, il rifiuto dei modelli sociali che, fino al quel momento, erano ritenuti naturali. Il legame tra la musica e la moda è centrale in questa vicenda. Nel 1971 Vivienne Westwood apriva la sua boutique di abbigliamento chiamata Let it Rock. Pare che all’epoca Vivienne avesse una relazione con Malcom McLaren, futuro manager dei Sex Pistols, con il quale creò un nuovo modo di abbigliarsi, contraddistinto da borchie, spille, giacche di pelle, maglie slabbrate, hairstyles stravaganti, con grandi creste e ciocche colorate. Si può notare come Vivienne Westwood abbia anticipato l’estetica della cultura punk, ispirandosi a ciò che accadeva in strada. Sulle sue t-shirt si può leggere una parola che la accomuna al movimento punk: Destroy. I look più famosi dei Sex Pistols venivano creati con tutto ciò che si poteva trovare nel negozio, tutto ciò che poteva essere usato per scandalizzare, per sovvertire l’ordine naturale delle cose.
Vivienne Westwood, oltre ad essere una grande attivista punk, è una delle stiliste più importanti al mondo. Il suo caso testimonia come, spesso, la moda prenda ispirazione dalla strada e come abbia anche un ruolo politico. La prima sfilata è stata a Londra nel 1981 con la collezione denominata Pirate. «La stilista scuce, slabbra, deforma, abbruttisce, si notano sbuffi informi, makeup aggressivi».[3] Il suo stile, così come il movimento punk, è a metà tra radicalismo e tradizione.
Nel 1985 emerge una Vivienne Westwood più citazionista ed è evidente un recupero del passato con crinoline e corsetti, che catturano l’attenzione di nuovi consumatori. Ancora oggi, nelle recenti collezioni, Vivienne Westwood porta avanti una protesta contro i problemi della società contemporanea. Non a caso, alcune delle sue collezioni si intitolano Propaganda o Active Resistance. Più volte è stata premiata come stilista britannica dell’anno. Nella collezione autunno-inverno 2019/20 denominata HomoLoquax sfilano modelle e veri e propri attori che recitano le seguenti frasi : «You’re buying crap you don’t need!», «Stop lying to children about climate change being their responsibility.» Un’evidente battaglia contro il consumismo a sostegno della sostenibilità, uno dei temi più controversi degli ultimi anni. Uno degli slogan più famosi di Vivienne che viene recitato durante la sfilata è proprio: «buy less, choose well, make it last».
In tutto ciò è presente una contraddizione: l’estetica del movimento punk, portavoce di una ideologia contro la cultura di massa, contro la moda stessa, tale da essere definita anti-moda, alla fine viene portata sulle passerelle dell’alta moda. [4] La teoria del trickle down viene sovvertita: l’elite non è più il luogo dove nasce una nuova tendenza. Non sono più i ceti sociali meno abbienti ad imitare la classe sociale più agiata. In questo caso nasce tutto dalla strada. La cultura dominante è in grado di integrare al suo interno le subculture, è in grado di fondersi anche con ciò che nasce dal degrado. Questo avviene attraverso la mercificazione dei segni che vengono trasformati in oggetti prodotti in serie come bicker di pelle, anfibi, spille da balia, trasportati sulle passerelle. Come viene sottolineato da Tim Edwards nel libro La moda. Concetti, pratiche e politiche: [5]«La questione dei significati della moda è estremamente importante, ossia quanto si può concordare o meno sul significato di uno stile. Spesso il significato che uno stile ha per l’osservatore può non coincidere con quello attribuitogli da chi viene osservato».
Oggi le sottoculture, caratterizzate da questa estetica innaturale e brutale, diventano gruppi che decidono di comprare determinati vestiti e indossarli al fine di esprimere la propria personalità o gusto musicale. Si comprano diversi capi di abbigliamento e non si creano personalmente slabbrandoli come facevano i punk con le loro spille da balia per un ideale politico. [6] «Si può distinguere una moda moderna e post moderna, dove la seconda al contrario della prima, avrebbe ambiguità e confini mutevoli». [7] Secondo l’analisi di Hebdige la politica della moda, si è frantumata in mille pezzi: non esistono oggi una haute couture e una sottocultura in contrasto con essa, esiste un abbigliamento griffato che comunica la propria identità e il proprio status. Da sempre la moda fa da palcoscenico per i cambiamenti culturali, come quello rappresentato dal movimento punk o come [8]il femminismo rappresentato visivamente dal rogo dei reggiseni e dai pantaloni indossati dalle donne, comunicando proprio nuove ideologie attraverso l’abbigliamento. Ideologie che tentano di contrastare ciò che vigeva in passato, ma finiscono per diventare esse stesse una nuova moda. Questo perché il sistema moda [9]«governa i singoli che, a loro volta, tentano invano di governarla». Sono forse questi i motivi che portano alcuni ad affermare che il punk sia morto.
Si poterebbe sostenere, invece, di trovarci in un’era post-punk. Un noto brand inglese chiamato Underground England, che realizza capi ispirandosi alle sottoculture, attraverso il claim[10] “we are all post-punk”, che si può leggere anche su alcune delle loro t-shirt, cerca di spiegare questi fenomeni. Il loro store a Londra non è un semplice spazio commerciale è un luogo dove si intervistano e suonano band emergenti e non, dove si svolgono presentazioni di libri con gli autori e dove si tengono vere e proprie lezioni che spiegano i più disparati cambiamenti culturali che stiamo vivendo. Dunque, un luogo che permette di vivere oltre al momento dell’acquisto anche un’esperienza di condivisione culturale.
[1] Definizione di innaturale dal vocabolario Treccani
[2] Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale di Dick Hebdige Costa & Nolan editore 2008 Pag.45
[3] L’orizzonte degli eventi. Gli stili della moda dagli anni Sessanta a oggi – Fabriano Fabbri Atlante editore 2013 pag.40-42
[4] Tim Edwards – La moda Concetti, pratiche, politica Piccola Biblioteca Einaudi 2012
[5] Tim Edwards – La moda Concetti, pratiche, politica Piccola Biblioteca Einaudi 2012
[6] Tim Edwards – La moda Concetti, pratiche, politica Piccola Biblioteca Einaudi 2012
[7] Tim Edwards – La moda Concetti, pratiche, politica Piccola Biblioteca Einaudi 2012
[8] Breve storia della moda in Italia Maria Giuseppina Muzzarelli il Mulino 2011 pag.11
[9] Breve storia della moda in Italia Maria Giuseppina Muzzarelli il Mulino 2011 pag.11
[10] Underground England profilo IG